25-02-2021

VISIONE POLITICA

di un privato cittadino

Nel 1981 la Banca d'Italia viene "sganciata" dal Ministero del Tesoro, nel senso che lo Stato non è più "debitore privilegiato" di tale banca e per ricevere prestiti deve ora rivolgersi alla finanza di tutto il mondo e pagare tassi d'interesse secondo le "regole del mercato". Uno dei fattori dell'aumento del debito pubblico nei decenni successivi è proprio la porzione di indebitamento di volta in volta finalizzato a pagare gli interessi.
Il "privilegio" dello Stato quale debitore di Banca d'Italia consisteva sostanzialmente nel fatto che quest'ultima era obbligata ad acquistare alcuni suoi titoli, ricorrendo anche all'emissione di valuta. Un "privilegio" tipico degli stati con una banca centrale pubblica... e che, salvo quelli aderenti all'euro ed altre rare eccezioni, nel mondo tutti ancora hanno!

Proprio una gran pensata quindi, questo "divorzio" del 1981, per la quale dobbiamo "ringraziare" soprattutto Carlo Azeglio Ciampi, allora Governatore della Banca d'Italia, e Beniamino Andreatta, Ministro del tesoro.
Chi ringrazia veramente, cioè senza l'ironia delle virgolette, è invece una certa oligarchia padrona, la vera mandante dell'operazione, che intravede, nel nuovo corso, la possibilità di far fruttare i propri capitali ricattando lo Stato debitore; cioè spostandoli dall'area soggetta a rischio d'impresa verso quella della speculazione finanziaria. Tuttavia la sfida ancora in corso sul piano del confronto con il "socialismo reale" dell'URSS non consente di sciogliere tutti i lacci e lacciuoli che vincolano lo sviluppo dei grandi capitali al sostentamento di un minimo di stato sociale, quel tanto che basta per accreditare il messaggio secondo cui il capitalismo è il migliore dei sistemi possibili, anche per i poveri.

Ma nel 1989, con la cosiddetta "caduta del muro di Berlino", anche su tale fronte si registra una svolta storica... Il messaggio ai popoli del mondo è che il capitalismo ha vinto, non ha più confronti da sostenere, può finalmente dispiegare le sue ali, rivendicare piena libertà di manovra e di espansione in sempre nuovi settori della vita sociale ed individuale, sulla base del tradizionalmente preteso concetto che è la ricerca del massimo profitto di ciascuno il vero motore dello sviluppo dell'intera società.
E quando il massimo profitto da realizzare è quello relativo a capitali immensi occorre inventarsi di tutto. L'espansione geografica dei mercati, per altro giunta a compimento con la globalizzazione, non basta; occorre creare mercati virtuali, finanza d'azzardo; e l'affermazione di un neoliberismo che consenta di trasformare in fonti di profitto persino le esigenze vitali delle persone, attraverso la privatizzazione non solo dei servizi pubblici ma anche dei beni comuni.
Quelle ali dispiegate, quindi, si rivelano presto d'avvoltoio; e ciò ci porta dritti dritti alla crisi attuale, che ci consente di vedere con i nostri occhi (non l'avessimo già teorizzato) il vero volto del capitalismo; il quale, non potendo contenersi a mero modello economico, assurge al rango di sistema di sviluppo tout-court dell'umanità, impregnandone ogni tessuto.
Ma facciamo un piccolo passo indietro, verso l'Italia.

Un paese è tutt'altro che un'azienda, ma forse non è un caso che la metafora dell'azienda faciliti la comprensione delle vicende politiche degli ultimi 30 anni nel nostro. Anni nel corso dei quali due distinti gruppi di dirigenti si contendono il ruolo di servitori della "proprietà".
Per i motivi esposti all'inizio la "proprietà dell'azienda" è da considerarsi un'oligarchia di potentati della finanza, di natura legale ed illegale. Mentre gli aspiranti servitori in competizione per aggiudicarsi i "favori" della proprietà sono da un lato il top-management che si identifica in Berlusconi e dall'altro quello che si identifica nelle varie sigle PDS, DS e PD.
Il primo gruppo vanta notevoli punti di forza... fra cui un efficace strumento di persuasione di massa... la televisione. Ma anche il fatto che il suo leader possiede personalmente una bella fetta di "azioni societarie", circostanza percepita dalla "proprietà controllante" come interesse diretto a "ben operare".
L'altro gruppo, quello delle sigle di partito, si presenta con un buon "curriculum di settore", senz'altro consono al ruolo conteso... e millanta un radicamento popolare che gli consentirebbe di far "ingoiare rospi" alle "maestranze di basso livello", quelle più vaste quindi, depotenziandone le reazioni.

Ma le elezioni? Non decidono nulla?
In tale contesto le elezioni sono poco più che un sondaggio circa il "clima aziendale". L'importante è che soggetti incompatibili con la proprietà non abbiano chance d'imporsi alla guida; e nel momento in cui i due principali contendenti non aspirano ad altro che porsi in top-class ai servigi dell'oligarchia padrona quest'ultima ha poco di che preoccuparsi. Del resto si è provveduto a "regole elettorali" che rafforzano questo scenario, in molti si allineano di buon grado sulla via tracciata dai "protagonisti". E poi, se c'è qualcosa da riaggiustare in Parlamento tra un'elezione e l'altra, "la proprietà" è sempre in condizioni di farlo, come dimostrato più volte nel trentennio.

Attenzione però a non commettere l'errore di pensare che sul fronte dei potentati dominanti tutto sia sempre uguale a se stesso. Uguale e comune ai vari soggetti dell'oligarchia rimane il fine di sfruttare le risorse del paese, ivi compresi i comuni cittadini, per il profitto. Diversa può invece essere di volta in volta l'influenza dei soggetti stessi (anche per alterne fortune).
Per esempio nel corso della legislatura 2008..2013 sono andate divaricandosi due "tendenze oligarchiche"; una che potremmo definire "protezionista" e l'altra "internazionalista"; una tendenza ad essere "padroni in casa propria", pur non disdegnando eventualmente vantaggiose "partnership estere", ed un'altra ad aggregarsi ai potentati finanziari della globalizzazione.
Possiamo semplificare l'interpretazione dei fatti pensando ad una tendenza protezionista rappresentata da Berlusconi e ad una internazionalista che ad un certo punto ha prevalso, imponendo Monti per cogliere il trend di certi "ambienti senza frontiere".

Semplificazioni a parte non si può sottovalutare il significato del referendum sull'"adeguata remunerazione del capitale investito" nella gestione del servizio idrico integrato. Dopo decenni di propaganda neoliberista del già citato concetto secondo cui "è la ricerca del massimo profitto di ciascuno il vero motore dello sviluppo dell'intera società" ben 26130656 elettori hanno dimostrato di non crederci affatto.
Con il 95,8% dei voti validi hanno stabilito che la disponibilità di un servizio pubblico essenziale come l'idrico non può dipendere dalla remunerazione del capitale investito; il diritto d'accesso all'acqua potabile va tutelato indipendentemente dalle logiche del profitto.
Ma soprattutto, i risultati dei referendum del giugno 2011, hanno formalizzato l'ormai sopraggiunta incapacità di Berlusconi di favorire l'oligarchia dominante, nello specifico non riuscendo a rendere obbligatoria, per reazione del popolo sovrano, la privatizzazione di taluni servizi.
Formalizzazione immediatamente recepita dalla BCE per poter inviare l'ormai famosa lettera con le esplicite richieste esecutive al governo italiano; quella che in sostanza rappresenta "il papello di Draghi-Trichet".

Ad agosto 2011 il Governo Berlusconi IV vara un provvedimento volto a reintrodurre nell'ordinamento (servizio idrico escluso) quanto abrogato col referendum sulle modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali, ma è una toppa che non può reggere. (Infatti, nonostante tale provvedimento sarà successivamente "avallato e perfezionato" anche dal Governo Monti, la Corte costituzionale non potrà esimersi, nel luglio 2012, dal dichiararlo incostituzionale, proprio in relazione all'esito del referendum del giugno 2011.)
Insomma la "tendenza oligarchica internazionalista" ha buone ragioni per non considerare più Berlusconi "utile" e la divaricazione rispetto a quella "protezionista" aumenta. Ma l'evento secondo me determinante è la maestosa manifestazione popolare del 15 ottobre 2011 a Roma. Sicuramente contro il Governo ma anche collegata alle rivendicazioni degli "indignados" di tutto il mondo.
Nella comunicazione di massa dell'evento passa solo la violenza degli scontri. Ma anche se per i vari organizzatori non aver potuto lanciare i propri messaggi dalla piazza rappresenta una sconfitta, a chi detiene interessi immensi nel nostro paese non è sfuggito il senso di fondo della cosa... Centinaia di migliaia di persone in corteo, nelle quali si potrebbe riconoscere un intero popolo che alza la testa, sono il segno che non si può indugiare oltre.
A novembre 2011 s'insedia il Governo Monti.

Per l'altro gruppo di dirigenti, quelli che si identificano con la sigla PD, la suddetta dinamica della divaricazione rappresenta l'ennesimo intoppo sulla via della conquista del ruolo di top-management; infatti danno per scontato che dopo Berlusconi la guida del paese competa a loro ma il nuovo problema è: "Al servizio di chi?".
Il terrore di "scontentare qualcuno" li spinge a scommettere su una ricomposizione delle due tendenze oligarchiche, che consentirebbe loro di eludere la domanda... Ma all'avvio della campagna elettorale 2013 è ben evidente come la divaricazione sia invece ulteriormente accentuata... La tendenza protezionista è attratta da Berlusconi, quella internazionalista da Monti, mentre Bersani non sa ancora da chi riceverà "appoggio" (ovviamente non stiamo parlando di elettori). In fondo se l'agognato appoggio ci fosse a lui poco importerebbe da chi promana... Il guaio è che in questo scenario più ingarbugliato del previsto anche l'appoggio non può che essere più esiguo del previsto.

A fine febbraio 2013 i nuovi eletti facenti capo alla trinità Bersani-Monti-Berlusconi risultano essere 247 al Senato (78%) e 509 alla Camera (81%). Si tratta di un ridimensionamento se si considera che la prima fiducia al Governo Monti registrò 281 voti favorevoli al Senato e 556 alla Camera.
Anche per effetto di questo ridimensionamento nel corso della legislatura 2013..2018 non c'è la possibilità di formare un Governo "nettamente protezionista" né uno "nettamente internazionalista". Per brevità basti ricordare che Angelino Alfano, fondatore di Nuovo Centrodestra (NCD), ha avuto importanti ministeri nel corso di tutta la legislatura, a fianco dei principali esponenti del PD: Letta, Renzi e Gentiloni.
Come dire che non sono più queste due tendenze a caratterizzare i top-manager agli occhi dell'oligarchia padrona; tanto è vero che Berlusconi, alle elezioni del 2018, potrà presentare Forza Italia in coalizione con Lega e Fratelli D'Italia nonostante, nel corso della legislatura uscente, si sia avvicinato decisamente al "gruppo dei padroni internazionalisti".

In vista della nuova campagna elettorale stipulano un contratto privato Davide Casaleggio e Luigi Di Maio, capo politico del Movimento 5 Stelle. È un fatto di rilievo perché sancisce l'entrata di Casaleggio nella logica dell'oligarchia; certo l'influenza del nome Casaleggio non è neanche paragonabile a quella di Agnelli, Benetton, Caltagirone, De Benedetti e via dicendo... ma l'interesse a piazzare nei ministeri servitori di Casaleggio diventa molto rilevante per la circostanza che quest'ultimo è a sua volta, per motivi imprenditoriali, promotore degli interessi di tante importanti aziende sue clienti.
La campagna elettorale di Di Maio è tutta incentrata sulla prospettazione che il Movimento 5 Stelle governerà l'Italia, per altro legittimando esplicitamente la distorsione prodotta dal cosiddetto premio di maggioranza. Per l'esito delle votazioni del marzo 2018 il premio non sarà assegnato, ma M5S farà parte di tutti i governi prodotti dalla legislatura tuttora in corso.
L'approdo di questo processo è nei numeri della fiducia al Governo Draghi; al di là delle sempre presenti competizioni interne l'oligarchia padrona ha registrato un rafforzamento a 262 voti al Senato e 535 alla Camera.

Estrema sintesi...
Se nelle istituzioni repubblicane si entra in base ai voti degli elettori e poi si fanno politiche in base ai capitali delle famiglie che considerano l'Italia "cosa loro" vuol dire che il gioco è truccato.